
21 Apr Ariano: la libertà sfuggita
A distanza di circa cinquant’anni anni dalla chiusura delle ultime fornaci, Ariano solo in tempi recenti ha ritrovato, vuoi per “passioni di campanile”, vuoi per interessi archeologici, la sua Ceramica. In un tempo ancora più breve, grazie alle istituzioni, agli appassionati, agli imprenditori, Ariano è rientrata nell'”Associazione Italiana Città della Ceramica” (A.I.C.C.), costituita nel 1999, in cui si riconoscono le èlite di quelle aree artigiane, da Faenza, a Deruta, a Caltagirone, in cui storicamente è venuta a svilupparsi una significativa attività ceramistica territoriale. In Campania, Napoli, Cerreto Sannita con San Lorenzello e Vietri sul Mare sono le altre realtà aderenti all’ A.I.C.C.
A garanzia della continuità delle premesse storico e tecniche delle produzioni delle “Città della Ceramica”, nascono i “Disciplinari di produzione”, precise regole che definiscono i modi attraverso i quali riconoscere i caratteri di tipicità delle varie maioliche. L’aderenza o meno ai dettami del disciplinare, crea i presupposti per l’apposizione dei diversi marchi e la possibilità di fregiarsi o meno di essi, rappresenta un potenziale veicolo di “preferenza” commerciale. Ovviamente questo, impone dei vincoli che vanno dalla provenienza delle argille, alla caratterizzazione dell’apparato decorativo.
La storia della Maiolica arianese, inizia con i frati basiliani ed i monasteri greco-bizantini, comunque come ripresa di una attività già esistente nella locale tradizione ellenistica e romana. La maiolica di Ariano, durante il XIII secolo diventa musulmana, il repertorio decorativo viene derivato da matrici geometriche, con cerchi, nodi e riquadri, che riquadrano i caratteristici pavoni, le foglie stilizzate, archetti e “palmette”. I colori delle proto-maioliche erano bruno, giallo, verde, ma anche il blu. Nel rinascimento, predomina, invece, il bianco “compendiario”, conseguenza dell’influenza della colonia faentina, portati in città, intorno al 1421, da Francesco Sforza, conte di Ariano e futuro duca di Milano.
Le tipologie tipiche, sviluppatesi nel tempo sono i piatti, i vasi e le fiasche. Particolari quelle “a segreto”, noti anche come « bevi se puoi » o « inganna-pacchiano », tipologia, tipicamente popolare, che si distingue per la difficoltà a versarne il contenuto. Infatti, il liquido contenuto nelle “fiasche a segreto”, si verserà sull’avventore che cerchi di bere senza conoscerne il segreto, oppure, non potrà essere bevuto se non scoprendo quale foro otturare per raggiungere la giusta depressione o il giusto cannello da cui sorbire.
Nei tipi della maiolica arianese, la popolarità si esprimeva anche nella esasperazione della simbologia, dove paganesimo e misteriose interpretazioni della iconografia cristiana si uniscono in una esuberanza decorativa, vivace e policroma.
La tavolozza della maiolica di Ariano è caratterizzata da accordi del verde-ramina e del giallo-arancio, con sottolineature in bruno di manganese, mentre, scarsamente impiegato è il blu di cobalto, al cui utilizzo si preferiva ricorrere per ottenere lo smalto di fondo celeste, detto berettino. Lo stesso smalto bianco stannifero, spesso di color cenerino per la bassa percentuale di ossido di stagno, che comportava una scarsa opacizzazione, veniva quasi del tutto nascosto dalle forti decorazioni. L’intera storia della ceramica arianese, si caratterizza nelle forme e nei colori per l’assoluta genuinità dei presupposti rappresentati. Anche la resa finale dei “pezzi”, che si caratterizzano sempre per le forti approssimazioni tecniche, raccontano di un “fare ceramica” dettato più da necessità funzionali che da intenzioni espressive. La purezza delle argille usate, i fuochi di cottura, non potevano certo garantire l’omogeneità necessaria ad un prodotto rifinito ed il fatto che, nonostante questo, ci fosse comunque un mercato di questi prodotti, dimostra quanto la vitalità popolare accettasse come dato di fatto le imperfezioni estetiche, dando maggiore attenzione alla funzionalità ed al fattore economico.
I tratti della tradizione, così “strenuamente” difesi dai disciplinari di produzione, però, non hanno partecipato ad una maggiore vivacità commerciale dei prodotti delle “Città della Ceramica”. Di fatto, cessata la loro “necessità quotidiana”, le produzioni di ceramica artistica si sono attestate su mercati d’inerzia: souvenir, riedizioni nostalgiche. Non solo ad Ariano, ma da Deruta a Vietri, il panorama della ricerca di nuovi mercati o semplicemente di adeguamento ai nuovi standard funzionali delle nostre case, risulta assai nebbioso, frenato dalla incapacità a lasciare “mercati d’inerzia”, o dalla convinzione che sia possibile una concorrenza alle produzioni indistriali, e che questa si realizzi con la velocizzazione delle rifiniture a discapito della qualità. La maggioranza delle produzioni “tipiche”, anche quando tutelate dai marchi, oramai, si svolgono su nastri trasportatori, lungo i quali scorrono forme, superficialmente ripetute dal passato e adornate da singoli operatori che, posti in sequenza, aggiungono ognuno il proprio particolare decorativo, ripetendolo all’infinito fino alle soglie della pensione. A cui spesso giungeranno con la capacità di saper proporre solo uno dei gesti utili a produre ceramica d’arte.
In sostanza, nel contemporaneo sembra che, essendo l’industria il soggetto capace di assolvere alla quotidianità funzionale, all’artigiano sembra non resti che la scelta di essere artista, anche se fintamente. In questa scelta, però, dovendo rispondere, comunque, a necessità di convenienza economica, guadagna in concretezza facendo riferimento a settori di mercato già esistenti.
Anche per la “nuova” ceramica arianese, quello nata dopo gli anni 60 con la rinascita dei laboratori di ceramica, l’attenzione commerciale si è dedicata al mercato della riproduzione del passato, sia come scorciatoia tecnologica, ossia la ripetizione di cose, forme e contenuti già conosciuti e che quindi non richiedevano “momenti morti” di invenzione, sia come prodotto da collocare su mercati consolidati, ovvero, in quelle fasce di mercato che già conoscevano, apprezzavano o richiedevano le forme del passato.
In questo modo però, il mercato della maiolica arianese si è avviato verso un circuito chiuso, dove maggiore è la nascita di laboratori e quindi di ceramisti, e minori sono le possibilità di vendita sul mercato.
A fronte dei riconoscimenti acquisiti, e della progressiva aperture di nuove botteghe, infatti, la maiolica arianese, continua ad avere come riferimento commerciale il proprio territorio, come produzioni possibili, esclusivamente la ripetizione degli archetipi contenuti nel Museo della Ceramica Arianese, e come ricerca la limitazione dei prezzi.
In questo, il Moloch, che viene adorato è proprio la tradizione, mai intesa come l’evoluzione di storie e fattori socio economici, come pure la favola della Maiolica arianese dimostra, ma come verità raggiunta, da ripetere.
In sostanza, nonostante i veloci successi, alla ceramica di Ariano manca ancora qualcosa: quel territorio sinceramente artigiano che l’ha creata, supportata, sostenuta a prezzo di vite sacrificate, per tanti secoli. Adesso, che le spinte istituzionali, passionali ed intellettuali, hanno sdoganato questo materiale dal folklore della cultura popolare, offrendoci notevoli spunti d’analisi, servono nuove spinte per calare ancor più nel contemporaneo quello che è stato esclusivamente un prodotto della “cultura del fare” e che, se fermato alle “coccole accademiche”, potrebbe nuovamente mummificarsi in realtà solo ricordate.
La ceramica ed i ceramisti arianesi devono di nuovo fare mercato, seguirlo, modificarlo, svilupparlo. L’unica vera alternativa che si può immaginare, perché Ariano sia nuovamente territorio di ceramica e non solo frontiera di coraggiosi imprenditori ed appassionati uomini di cultura. L’obiettivo di fondo è la ricerca di una possibilità di qualità diffusa, che permetta al piccolo laboratorio di ceramica di ricollocare la propria produzione su segmenti di mercato “altri” rispetto allo standard attuale.
Unico spiraglio di reazione alla stagnazione del mercato, paradossalmente, ci viene proprio da una analisi meno fideistica dello stesso Disciplinare. A fronte dell’approccio assai “ortodosso”, lo stesso vangelo della tradizione arianese, consente margini di libertà espressiva insperati, con la possibilità che rientrino in esso anche produzioni a carattere innovativo. Specie se sia possibile considerarli come: “[…] naturale sviluppo ed aggiornamento delle forme, degli stili e delle tecniche tradizionali.”. Ma è nello sforzo assoluto di valutare l’aderenza alla tradizione solo attraverso un mero approccio stilistico, però, che risiede la libertà sfuggita che dovrebbe, assolutamente, essere colta. Impegnato nella crociata estetica, lo stesso Disciplinare della Maiolica Arianese lascia, di fatto, libera azione alla possibilità di immaginare, senza comunque andare in rottura con l’ortodossia, quindi, con la possibilità di ottenere il marchio, sviluppi o reinterpretazioni tecnologiche dell’intero processo.
E’ su questo segmento, che si può ricercare strade che accompagnino l’essenza più strettamente artigiana della maiolica arianese. Un’essenza che non può risiedere nella pedissequa ripetizione di decori, ma nella elasticità di interpretare in senso popolare un processo produttivo, nella disponibilità ad ogni contaminazioone, come lo furono quelle arabe o quelle faentine, secondo le regole del mercato e della tecnologia, prima ancora di quelle della fantasia.