Le bottiglie di Calitri

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Le bottiglie di Calitri

di Mario Pagliaro
dal quotidiano Ottopagine del 27/003/2011

“Il design di fondo non è un arte. Il designer non è un artista, ma una persona che cerca di risolvere dei problemi producendo degli oggetti che ci migliorano, o meglio ci dovrebbero migliorare la vita.” Che lo abbia detto Bruno Munari e non chi scrive, per chi legge è già garanzia, ma più illuminante, per chi legge, sarebbe il dare attenzione alla straordinaria produzione di design spontaneo di cui sono piene le nostre case, strade, spiagge. La definizione è impropria. Sembrerebbe giustificare l’occasionale bricoleur o la casalinga abbonata a “Case d’autore”, nella convinzione di poter essere demiurghi, tanto nell’estetica quanto nella funzionalità. Visto che, questo non può essere vero, come non lo è che “l’attrezzo fa ‘o masto”, per design spontaneo dobbiamo intendere la molletta per i panni, il cavatappi, ma pure lo spaventapasseri, la scala a triangolo, il cesto per la raccolta delle mele e quello per le ciliegie. Oggetti nati per risolvere un problema, che non hanno un autore riconosciuto, che tutti sono autorizzati a copiare, modificare, ma da cui non si riuscirà mai ad allontanarsi, perché troppo perfetti nella loro essenzialità estetico/funzionale. Al punto da diventare fenomeno sociale, carattere di una comunità. A Calitri, passeggiando nei vicoli del centro storico, non parla solo la storia. Anche la necessità. E’ un luogo affascinante, magico, fatto di grotte e case con una sola faccia. Ricostruite. Restaurate. Distrutte. E di tanti, tanti gatti che si giocano la conta con gli abitanti di quelle case. Abitanti? Proprietari. Per di più svizzeri, lombardi, ed ora inglesi, che le usano come boccata di serenità ferragostana. Tra loro ed i felini, vincono questi. Dolci, coccolosi, ma anche con la brutta abitudine di segnare il territorio con le loro urine. E dove? Proprio sulle soglie di quelle porte chiuse per troppi mesi all’anno. Le urine di gatto fermentano facilmente e, dense di ammoniaca, corrodono l’aria con mefitiche essenze, e le pietre o gli intonaci, di indelebili ombre giallastre. Un genio, di quelli che resteranno per sempre anonimi, come l’inventore della ruota o del cucchiaio, un giorno, credo stanco di cospargere pepe, sale e qualsiasi altra diavoleria che le vecchie nonne dicevano utile, scoprì che i gatti, signori di arroganza, erano infastiditi dai riflessi dell’acqua di una pozzanghera. Il lampo. Quello che ti fa credere di aver inventato ed invece è solo l’ultima goccia di sopportazione: riempì d’acqua decine di bottiglie di plastica trasparente e le depose davanti al suo uscio. Ecco il design ed il suo designer. Ecocompatibile, sicuro, divertente, reversibile e, sopratutto, funzionale. Il design aveva sconfitto i gatti di Calitri. Da allora, come dice il mio amico Bernardino Galgano, “come schieramenti militareschi davanti le porte, in posizione di difesa” le bottiglie anti-gatto, hanno caratterizzato le storiche prospettive calitrane, quale specchio di una presenza popolare, pur se lontana. Oramai, anche se troppo contemporanee perché la retorica della nostalgia potesse notarle, sono diventate più presenti delle grotte. Più necessarie di un indicazione turistica. Più diffuse di un caciocavallo, che da queste parti è tutto dire. Quella presenza discreta, che in troppi si chiedono a cosa serva, nel silenzio delle rivoluzioni culturali, è diventata parte integrante del paesaggio, protesi autonoma in un paesaggio antropizzato. Non è un ready made, un assemblaggio post moderno di cose ri-utilizzate, come può essere una cazzuola che diventa attaccapanni o un secchio che si trasforma in lampadario, le bottiglie anti-gatto non sono invenzione, ma soluzione metabolizzata di una necessità. Esplicitamente risultato di progetto, risposta ad un bisogno specifico. Hanno in loro tutte le basi di un oggetto/progetto: la trasparenza per assicurare il riverbero del sole, pesanti il giusto per non essere capovolte dal vento, modulari per essere iterate secondo il bisogno, mancanti di qualsiasi pericolo o fragilità, economiche per non essere rubate, simbolo di un modo di essere. C’è quello che sa cosa fa e le pone serrate, a protezione dell’anta fissa e mobile. Il superficiale, dando inconsciamente priorità all’anta apribile, preserva solo quella dagli attacchi ureici. Chi manca da tanto, e sa che non vuol più tornare, ancora intriso di cultura paesana, le ha poste solo per non essere indicato come disattento alle sue cose: poche bottiglie, oramai abbattute come birilli da bowling. L’esagerato, quello per cui nella pasta e fagioli “cchiù ci mitti e cchiù ci truovi”, ha rifatto gli infissi nuovi, sono costati troppo e ha sostituito le esili bottiglie con due damigiane. Il post moderno che protegge infissi di plastica con bottiglie di plastica. L’igienista che crede le bottiglie di candeggina più efficienti di quelle dell’acqua minerale. I presidi anti-gatto, a Calitri, sono oramai patrimonio popolare, e seguono il percorso della loro comunità. Espressione di una nuova tradizione, di una popolarità contemporanea, non possono durare i secoli di uno spaventapasseri, più concretamente il decennio di un contratto di affitto. Bernardino, infatti, racconta che “ stamane, ho scoperto che quei soldati avevano perso la loro battaglia. Hanno vinto i gatti. Insomma, solo in poche porte e soprattutto tra quelle abitate, ho trovato una o due bottiglie poste negli angoli, come per ricordare che li c’è ancora vita”. Come tutte le cose dell’uomo, anche le bottiglie anti-gatto spariranno, quando verrà meno il valore della funzione cui dovevano assolvere.