24 Lug Artigianato da sagra
dal quotidiano Ottopagine del 24 luglio 2011
Sono oltre vent’anni che l’Irpinia vede moltiplicarsi le occasioni di trascorrere le sue notti d’estate tra saltimbanchi ed artigiani. Oltre la tipologia paesana della sagra gastronomica, contaminata da richiami culturali, impregnata di teatro di strada la prima esperienza fu quella pionieristica di S.Paolina, creata intorno al suo Tombolo, a ruota seguì l’iniziativa mercoglianese, di “Castellarte”, dopo: il diluvio. Nacquero,Canalarte, Solearte, Giullarte e tante altre iniziative minori per cui non sembrava più festa senza un giullare o una terracotta esposta in una casa diruta. Finalmente, sembrava che i nostri centri storici, avessero trovato gli strumenti giusti per costruire un nuovo sviluppo sostenibile. Le peculiarità produttive dell’artigianato, specie quello artistico , condite dalla genuinità degli artisti da strada, addirittura, da reminiscenze di musica popolare, rappresentavano una formula vincente per ritornare negli antichi centri storici e riportarli nella sfera di una potenziale redditualità. Dopo questo ventennio speso nella continuazione di queste iniziative, invece, ad ogni estate sembra rinnovarsi solo un divertente ma sterile rituale. Anche quei borghi, assediati e consumati per un week end dalle migliaia di turisti di un notte di mezza estate, hanno visto continuare il loro lento degrado o confermato il loro triste isolamento. Eppure, tutte queste manifestazioni nascono e vegetano nella capacità/possibilità di saper reperire fondi pubblici. Chi crede che un saltimbanco sia ancora un vagabondo che sbarca il lunario inventandosi una risata, sbaglia di molto. Anche gli artisti di strada, oramai, provengono dalle scuole di teatro, hanno una loro associazione di categoria, i contatti avvengono attraverso manager, sui loro introiti bisogna versare la ritenuta d’acconto, insomma improvvisarsi è molto difficile. Nella convinzione di dover, per forza, fare spettacolo ciò che resta fuori è la promozione del territorio, la valorizzazione delle sue risorse della qualità. A migliaia di turisti, ogni anno, in troppe occasioni viene lasciato credere che la pasta di sala della casalinga irrealizzata, il vetro dipinto dell’hobbista o il ciocco di legno scolpito dal bricoleur in pensione sia artigianato. Esiste una generale disinformazione sulla cultura dell’artigianato, e coinvolge tanto la programmazione politica quanto quella culturale. Quello che accade nelle nostre manifestazione estive è solo la punta visibile di un iceberg alto secoli. La superficiale abitudine ad accostare l’artigianato con l’antiquariato o, ancora peggio, con il tempo libero di un appassionato, lascia lontano da questi eventi il vero artigiano, quello delle aziende piccole e medie che tutto l’anno, tra silenzi e mille difficoltà, ricercano, costruiscono e vendono le proprie produzioni giocandosi quotidianamente la propria credibilità. Quelle che ogni mattina, se non hanno la certezza di poter guadagnare almeno trecento euro, già sanno che solo alzare la serranda sarà una perdita. E’ per questo che i veri artigiani, una volta fatta l’esperienza dei nostri eventi estivi, si guardano bene dal ripeterla. Le vere produzioni artigianali sono professionali nelle rifiniture e, quindi, nei costi. E’ già difficile farlo capire nel chiuso di una bottega al cliente convinto, chi potrà mai spiegarlo al “turista per caso” perché una vetrata sabbiata e smaltata costa così tanto, se nella stanza affianco c’è una studentessa che vende vetri dipinte per dieci euro? Che il legno non è qualcosa che si avvita o la pietra qualcosa che si unisce col silicone? L’aspetto artistico, delle varie manifestazioni è sempre molto curato, anche perché l’intero budget di tempo, soldi e conoscenze è legittimamente orientato all’ingaggio di sempre migliori artisti, ma l’approssimazione e la generale ignoranza in materia che si rivela nell’esposizioni di artigianato è, per gli addetti ai lavori, scandalosa. All’artigianato non si chiede niente ma si offre altrettanto. Tutte le filosofie sul suo rilancio vengono affidate ad una marea di hobbisti, gettati in pasto alla superficialità dei turisti. La contraddizione è proprio che in questo marasma di superficialità le aziende artigiane della qualità, i designer che con loro collaborano e quelli che vorrebbero provare a farlo, avrebbero tanto da comunicare ma non esistono in tutto il meridione, manifestazioni che creino le condizioni di dignità minima per raccontare il vero artigianato, ancora meno il vero design artigiano. Non poter usare questi eventi estivi, comunque capaci di attrarre migliaia e di visitatori è un vero peccato. Sarebbe addirittura una condizione di autosostenibilità degli eventi, la proposta al mercato di un prodotto unico, e non per mancanza di convenienza. Infatti, il cambio di atteggiamento imporrebbe una pianificazione lunga un anno, una organizzazione delle location, una selezione degli espositori, la creazione di strutture per la gestione di una impresa culturale. In pratica, un know how che non sembra sia stato testimoniato in questi oltre vent’anni di ilare dispersione di potenzialità.