Il gusto della terra

Il gusto della terra

di Enza Iadevaia
tratto dal quotidiano Ottopagine del 31/07/2011

 

ravejHo scritto e lavorato a diversi film e documentari, in zone che sapevo non essere le mie, per dialetto, cultura e modi di pensare. L’occasione di fare un lavoro ad Ariano Irpino, l’ho sentita come il ritorno a casa. Del resto la Campania è la mia terra. Invece, quando il dialetto è simile ti accorgi che il suono è comunque diverso, è dietro quel suono un mondo che non puoi solo credere di conoscere. Un luogo lo si descrive in vari modi. Ariano, questo Tricolle scoperto con Mario Pagliaro, anche lui oramai, “oriundo all’estero”, abbiamo scelto di raccontarlo percorrendo la strada dei sensi, del gusto, delle fragranze. Per questo, “Ravej, nei colli della ravece”, oltre che un documentario, è una rappresentazione per immagini di sapori e odori di una terra, narrata attraverso un olio d’ oliva unico: il ravece. Con l’approccio “artigiano” della “bottega delle Mani”, la conoscenza unica del territorio della “Filo Verde Scarl”, è nato un documentario che ha costruito un percorso di ri-conoscenza, fatto di volti e storie, legate da passato e presente, riti e tradizioni, vecchio e nuovo, sempre legati da un filo d’olio di ravece. Tutti insieme, con l’associazione Movielab, che ne ha curato la produzione esecutiva, e Carlo Preziosi, “prezioso” direttore della fotografia e montatore, ci si è lasciati trasportare, come succede all’olio che galleggia sull’acqua, in un viaggio in cui la macchina da presa è scivolata tra le strade, ma soprattutto nelle grotte di Ariano a catturare occhi, sguardi, parole e silenzi. Tra la ricerca antropologica ed il marketing territoriale, “Ravej” è partito da lontano, con sopralluoghi attenti e certosini negli antichi trappeti , nei luoghi del passato e tra aneddoti pieni di fascino e di superstizione. Un sopralluogo è la visione di un posto con uno sguardo diverso, è intrufolarsi con leggerezza calviniana tra la gente e le strade, perché l’olio, ad Ariano, non è solo cucina. Per questo, con Michele Masuccio e gli “amici della Ravece” abbiamo cercato di mostrare, soprattutto, quanto vale un territorio e quanto può rendere se le forze in gioco collaborano. Abbiamo definito “Ravej”, un “corto antropologico”, perché il percorso storico, iconografico che l’architetto Carmine Iuorio ha costruito per noi, ha legato il nostro racconto non solo a luoghi suggestivi come i trappeti, ma alla testimonianza delle ragioni del perché, certi spazi potessero diventare centri di vita, lavoro e morte. Verità protrattesi per secoli e di cui abbiamo trovato puntualmente traccia in tutti coloro che al Ravece sono ancora legati. Dai “cucinieri”, ai “trappetari”, che dell’uso e della produzione di questo condimento ne hanno fatto la rappresentazione di un eterno esperimento di convivenza tra tradizione e contemporaneo. Dove però, e sono le parole di Lorenzo Tiso, un decano del frantoio, il passato e la tradizione non sono, per forza, sinonimo di qualità e perfezione. Ecco! Il mondo del Ravece, mette in crisi la retorica, e questo da sempre. E da sempre è stato centro tra sacro e profano, così, con “Ravej”, è stato naturale proseguire il racconto di un olio, con la signora Lina, che ancora oggi, con l’olio, cura i nipoti dei nipoti dagli “occhi cattivi” o con il signor Pino che, invece, cura i poveri resti dei morti della Peste, che ancora chiedono di non essere dimenticati nel trappeto in cui furono lasciati, secoli fa. E poi la musica, quella del maestro Giardino, musicista e fotografo di matrimoni, che conosce, e ancora suona, tutti i modi con cui gli arianesi di ieri si divertivano mangiando. Nella dieta dei nostri padri, l’olio è sempre stato sentito come fondamentale, pur non essendo necessario. Per le quantità e la qualità con cui veniva usato, in passato, l’olio era più una necessità percepita che reale, più la necessità di legarsi a tutto quanto l’olio rappresenta che trarre vantaggio da quello che concretamente è. Un approccio che, ad Ariano e forse in tutte le comunità dell’olio, è ancora vero. Altrimenti non si giustificherebbero le dispute sui tempi di maturazione delle olive, oppure su quanto i “fiscoli” possano ancora dare nel confronto con la molitura “a freddo”, oppure di come l’orzaiolo, che qui chiamano “ogliarola”, guarisca guardando fisso nella bocca di una bottiglia d’olio. E questo è stato “Ravej”, una semplice ricerca e messa in scena di suggestioni, attimi, sensazione, movimenti. Tutto per entrare ed un uscire dal tempo e dai luoghi, come dal buio lento dei trappeti all’azzurro veloce degli esterni. Simbologie. Riti. Tabù. Gusto.Tradizione. Sapori. Il nostro documentario racconta di un leggerissimo filo dal color oro che tiene unite identità, epoche e personaggi, che si intreccia con la storia, con il passato ed il presente, contribuendo a rendere preziose ed uniche, alcune zone dall’aspetto duro come la pietra, ma dal gusto raffinato.