Ad Ariano “Terre” senza territori

genius-loci

Ad Ariano “Terre” senza territori

di Mario Pagliaro

A me, della Ceramica di Ariano Irpino, importa ben poco. Come, del resto, di tutte le cose semplicemente belle che non portano a niente. Se ha un senso parlarne, studiarla, insegnarla, comprenderla é solo per le implicazioni positive che potrebbe avere sulle logiche di sviluppo sostenibile di un territorio. L’argilla di Ariano, storicamente, non é mai stato altro che funzione. Ceramiche d’uso, rese strane, originali, belle ma solo dopo che fosse stato chiaro che una funzione l’avevano assolta. Spaselle per i pomodori, fiasche per vino, mai pannelli decorativi, pochissime volte acquasantiere. Dietro di loro un popolo di “ruagnari” che vivano e morivano con loro e un territorio che si disegnava per permettere tutto questo. “Terre moti”, la biennale di ceramica, inaugurata oggi ad Ariano irpino, presenta tanta ceramica, molta anche bella o di grandi nomi, ma tra un Mokichi Otsuka, Francesco Raimondi e Mimmo Paladino, é mancato, per carenza di progetto, l’ospite più importante: il maestro Genius Loci.
La divinità pagana che associava il Genio al Luogo fisico non ha, nemmeno da lontano, benedetto la manifestazione.
Ariano é quel paese della Campania, in cui, dopo aver lottato politicamente e vinto per ottenere l’iscrizione all’associazione “Città della Ceramica”, aver steso un Disciplinare della maiolica “Doc”, disegnato un marchio di cui nessun ha ancora chiesto l’uso ed istituito un Liceo del Design, una decina piccole aziende artigiane continuano a combattere nello stagno di un mercato locale abituato ad immaginare, come “ceramica arianese”, solo bomboniere o copie degli oggetti conservati nel museo cittadino. In questo contesto, che senso ha parlare delle capacitá artistiche, vere o presunte, di altri? Che cosa può portare l’ammirazione di una “personale” ceramica di Mimmo Palladino se poi, domani, i faenzari del Tricolle dovranno continuare a riprodurre, a basso costo, cose che furono intelligenti solo cento, duecento anni fa? Il Maestro sannita, in contemporanea, espone a Ravello, una esclusiva mostra di circa 50 opere, tra cui l’imponente installazione dei venti «Testimoni”, tutte scelte per dialogare con l’architettura di Niemeyer. A Melpignano, invece, ha disegnato le tradizionali luminarie de “La Notte della Taranta” e l’anno prossimo lancerà un concorso internazionale chiedendo a giovani artisti di reinterpretare a loro volta questa tradizione. Ecco, la sua presenza ad Ariano, avrebbe avuto un senso se, anche qui, gli fosse stato chiesto di dialogare con un paese, una tradizione, dieci aziende artigiane, un centinaio di studenti e ventimila committenti di bomboniere. Invece, il suo pezzo giace immacolato, esposto in un isolamento autistico, nel miglior cortile che la storia ha lasciato a questo paese. Proprio come le ceramiche del Museo di Ariano e gli artigiani nelle loro botteghe.