Fontanarosa: la pietra nel “piatto doccia”

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Fontanarosa: la pietra nel “piatto doccia”

di Mario Pagliaro

Sono ritornato a Fontanarosa, per capire cosa stesse succedendo alla “Breccia irpina” ed ai suoi scalpellini. Erano un pò di anni che non ci tornavo. Anche se credi di esserci dentro alle cose, con quel che fai e quel che immagini, per comprenderle, spesso, serve ri-vederle, tutte insieme e magari, spiegandole ad altri, ti accorgi che puoi ri-comprenderle.

Avevo lasciato Fontanarosa con la Breccia, la storia, tante parole sull’arte e ancora troppe cose per farla diventare contemporanea. Insieme ad Andrea e la sua prossima laurea in Design, ci sono tornato ed ho trovato la “pietra di Fontanarosa”.
A chi si ostina sull’estetica del bianco Carrara”, “Azul Macaubas” o del “Verde Guatemala”, può sembrare, ma non è la stessa cosa.
Una pietra, sedimento di brecce, puddinghe e argille ha,  proprio nella dimensione di queste “impurità”, la differenza che crea il passaggio da favaccia a favaccina, a” pietra di Fontanarosa”. Poi c’è il travertino noce ed infine l’Onice di Gesualdo.

Abbiamo festeggiato una nuova cava. Paradossale per uno che definiscono “ambientalista”, coerente per chi non ama la retorica. Le cave di “Fontanarosa”, non sono gli enormi vuoti che stravolgono il paesaggio e gli ecoequilibri, per farne cemento che inghiottisca terreni agricoli. Sono, invece, brevi morsi al paesaggio, più larghi che alti. Quelle antiche, fai fatica a riconoscerle, per la semplicità con cui la Natura ha ripreso i suoi spazi.
In più, a Fontanarosa, le cave creano lavoro ad una intera area artigiana, nove aziende su meno di tremila abitanti, a proseguire una tradizione, inventata qualche secolo fa, ma sopratutto a reinventarne di nuove. Tutte con potenziali enormi, nell’artigianato, nel design e se capita nell’arte.
Ovvero, in quella sfera di economia credibile che non si spegne nel lampo di una speculazione, ma dura l’arco di tante generazioni.

Dalla nuova cava, dopo decenni, si estrae di nuovo “Pietra di Fontarosa”, la qualità più pregiata della famiglia “Breccia”, quella più fine, con un leggero colore paglierino e una grana compatta. Ottima per le sculture, per gli artigiani capaci e per il Design.
Proprio perchè piccoli, dai brani di paesaggio che forniscono materiale agli scalpellini di Fontanarosa, quanto estratto, non si presta a produzioni di quantità. Per questo, in molti, non hanno mai troppo creduto nel poter continuare a lavorare col materiale di casa.

Con la sbornia della “219”, tutti hanno creduto che solo “il tanto” è “il buono”, pur se non per forza “il meglio”. Con la retorica degli anni duemila, invece, si è passati all’eccesso opposto: l’Arte, l’oggetto eccezionale, la necessità di creare unicità, il protagonismo della firma.

Nei due casi, si sono create solo sovrastrutture tecnologiche, illusioni finanziarie, attivismo, azione vuota. Negata la possibilità di stare sul mercato con oggetti funzionali, a valore estetico aggiunto. Che pur aveva creato e continuato il comparto della pietra tra Gesualdo e Fontanarosa. 

Dopo anni di impegno culturale e professionale perchè accadesse, la cosa nuova è stata aver visto accadere, naturalmente, che chi ha scoperto questa nuova collina di “Pietra”, ha fatto finalmente una scelta normale: basta con la retorica dei grandi incarichi pubblici, il mercato di riferimento è quello dei “privati”. Fermata la retorica dell’artisticità ad ogni costo, il design e l’analisi di mercato sono la strada da percorrere.

Per la prima volta ho visto arredo bagni in Pietra di Fontanarosa. Il  piatto doccia, il lavabo e sopratutto contemporanei, senza orpelli, curve. Linee pulite. Una conquista.

Adesso veramente c’è da deprimersi a sentire ancora che Fontanarosa è “antico centro di lavorazione della pietra”.