Serve odio per la bellezza

Serve odio per la bellezza

di Mario Pagliaro *

LANDSCAPE: terra (in) fuga, é stato il tema del Festival di Paesaggio 2018. Giocando con le parole, traducendo “Paesaggio” dall’inglese, si ottiene una triste realtà, vera in tutte le lingue: la terra, il suolo si va esaurendo, coperto da tanta approssimazione e molto superfluo. Così, gli equilibri ecologici e la produttività reale vanno in crisi ed il Paesaggio (gli spazi che viviamo e che vediamo), diventa un insieme sempre più opprimente, deprimente.
La terra ci sfugge, questa dovrebbe essere la preoccupazione per chi guarda paesaggi e, soprattutto, vuole vivere luoghi in cui sia bello riconoscersi. Purtroppo, la retorica ci chiede altro e noi, preferiamo occuparci dell’eccezionale, portare a casa cartoline, pensare che il bello sia altrove, magari a pagamento, sicuri che il Paesaggio lo vedi da lontano e che, alla fine, tutto é bello. Specie se è notte, ci sono tante luci e magari il nostro amore é vicino.
Invece, non è tutto bello, soprattutto l’abitudine che ci costringe a non accorgerci che viviamo luoghi e spazi da cui si percepisce la nostra scarsa attenzione per essi.

La liturgica ripetizione di quanto amore si debba nutrire per i propri luoghi, quelli in cui si è nati, in cui si abita, che si amministra o per cui si tifa, nasconde spesso la causa della loro realtà sciatta, se non già degradata.
In ogni rapporto di coppia, limitarsi ad amare il proprio partner rende superfluo accorgersi delle sue trasformazioni negative, del suo allargarsi, impigrirsi, imbruttirsi, lasciarsi andare. “E’ l’età”, ci diciamo, come se il girovita debba essere una dimensione proporzionale al numero di anni o la passione di vivere abbia una data di scadenza. Necessarie, sembrano solo le mutue dichiarazioni di amore. L’attenzione è un optional e la bellezza, che servirebbe a viverci bene, ci convinciamo debba essere qualcosa di eccezionale. Per goderne basta far ricorso alle icone e anche quelle le trovi sempre altrove, tra You Porn e Maria De Filippi.

Lo stesso ci accade con i nostri luoghi, i nostri paesi, i nostri paesaggi. In quanto “nostri” sembra fondamentale solo amarne il ricordo e possibilmente, neanche il nostro ma quello che persone che ricordiamo ci hanno raccontato di ricordare. Ci abituiamo, così, a vederli deprimere e considerare naturale la loro mediocrità. Fondamentale, resta la retorica delle dichiarazioni d’amore, fedeltà, dipendenza. In questa Piedigrotta del banale, “il bello” resta qualcosa di eccezionale, inutile esigerlo dai nostri paesaggi quotidiani. La convinzione diffusa é che bellezza si conserva nei musei, si compra nelle tappe di una crociera o si cerca su Istagram: #cosebelle.
Non che sia fondamentale esigere bellezza, se ancora vogliamo confonderla con la retorica. La speranza, quindi, è odiare i nostri luoghi, soprattutto quelli in cui dobbiamo vivere.
Considerato il contesto, solo l’impellenza di migliorare le realtà che si sente costretti a subire potrebbe essere l’ultima ricetta per mettere in discussione l’abitudine, ammutolire la retorica e, soprattutto, arrivare a pretendere una “bellezza quotidiana”.

Il Festival di Paesaggio 2018 non é stato una festa. Più comodamente, avrebbe potuto scegliere di essere l’ennesima occasione per realizzare “quello che la gente si aspetta“, ma qualcuno dovrà pur assumersi la responsabilità di non essere un Messia? Qualcosa dovrà pur essere né il meglio, né il peggio ma solo l’inatteso?

In questo diario, di immagini e sogni, c’è il racconto di quella responsabilità assunta per spezzare le abitudini e odiare il conosciuto al punto da costringersi a ri-conoscerlo, cercando nuovi punti di vista, leggere nuovi contenuti, ascoltare nuove parole, guardare nuove immagini, coltivando nuovi atteggiamenti.
Festival di Paesaggio non è stato una festa ma nemmeno uno sforzo per essere impopolari. É un progetto. Un’idea seguita da un’azione, costruita con la calce dell’utopia e i mattoni della visione perché la ricerca della bellezza non si concluda mai e possa continuare nelle azioni del quotidiano.

Se tutto questo è successo, potrà dirlo solo chi riuscirà a percorrere le strade che noi altri abbiamo costruito. A noi che abbiamo giocato, studiato, sudato perché il Festival di Paesaggio fosse, resta la soddisfazione di averlo fatto e l’intenzione di provare a rifarlo questo luogo “altro” in cui raccontarsi cosa è successo e immaginare cosa potrebbe succedere.
E se il condizionale è d’obbligo, l’obbligo é condizione.

 

(*) tratto da:
Antonio Bergamino, Mario Pagliaro (2018) ( a cura di) Festival di Paesaggio 20018 – il diario – Avellino , bottega delle MANI