05 Lug Paesaggio neomelodico
di Mario Pagliaro* –
Paesaggio, urbanistica, architettura, design, bellezza, tutti li riconosciamo come vocaboli in conseguenza. Se aggiungessi: core, ammore, latitante, popcorn? I più direbbero “chist’e pazzo”, ma c’è anche chi inizierebbe a immaginare qualcosa.
Non è molto che il concetto di Paesaggio è stato sdoganato dalla retorica della “bella veduta” o, comunque, della cartolina che riportiamo a casa dai nostri weekend. Per la Convenzione Europea del Paesaggio, infatti, è il “valore che le popolazioni locali interessate aspirano a veder riconosciuto per il loro ambiente di vita.”
Paesaggio, quindi, è lo spazio in cui viviamo, con il bello, il brutto, la qualità ed il degrado, il romantico e l’a-romantico e, ovviamente, anche il Neomelodico.
Da quando lo scrittore Peppe Aiello, definì “neomelodica” la musica della nuova Napoli, il fenomeno, come un blob inarrestabile, ha riempito tutto quanto sia espressione popolare a sud di Latina. Neomelodico è gorgheggi, matrimoni, soldi, eccesso, camorra, quindi, anche paesaggio.
Paesaggio è un concetto di evoluzione, nulla è mai come è stato, così, viale delle Galassie sta a Posillipo, come il mercato di via del Cassano sta alla finestrella di Marechiaro e la mitica Dubai ai guappi della Sanità. Strane equazioni, sembrerebbe, ma è la napoletanità che cambia, il paesaggio che si trasferisce. Dal vedutismo dei macchiaioli ai video di Franco Ricciardi. E’ un dato di fatto: se poi questo è un bene o un male, è un’altra storia.
E’ sempre difficile dire se sia nato prima l’uovo o la gallina, ugualmente, capire se ambienti di vita figli di un Versace sottocosto, abbiano disegnato le canzoni dei neomelodici o, invece, siano essi stessi la trasposizione formale di una musica densa di passione ma soprattutto di plagi, frasi fatte, eccessi e qualità apparente.
Soprattutto, si tratta di capire se anche i nuovi paesaggi riempiti di castelletti, archetti e finti capitelli, piscine cosmatesche e palme nane siano, dopo le canzoni, i nuovi risultati dell’influenza culturale delle “impressionanti quantità di capitale economico, politico e sociale che la camorra investe nell’industria neomelodica.” Perchè c’è anche questo nel neomelodico o forse solo questo.
Nell’ottimo saggio “Note neomelodiche: estetica sociale, economia politica e reti di scambio asimmetrico nello spazio periferico napoletano”, pubblicato nella rivista Antropologia, Vol. 4, nr. 1/2017 da Salvatore Giusto e Carlo Russo, infatti, l’essenza reale del fenomeno su cui, da lontano, tanto si scherza o, da vicino, tanto appassiona, diventa oggettivamente più serio.
Il paesaggio neomelodico, non si esaurisce più nelle rappresentazioni trash di una storia dell’arte difficilmente esistita e nemmeno nei cartongesso dei “matrimonifici” meridionali.
Se la classica napoletana di Salvatore Di Giacomo ed E.A. Mario si percepisce guardando il Vesuvio da via Caracciolo, la napoletana contemporanea, quella di Vale Lambo, Gianni Celeste o Mimmo Dany la riconosci a partire dalle periferie, dove vivono, gorgheggiano, reppano e si registrano i cantori di Gomorra. E’ qui che viene teorizzato il paesaggio neomelodico.
Forse come alternativa immaginata allo squallore del vissuto, forse come re-interpretazione soggettiva di una storicità quanto più legata ai simboli di potere, ricchezza, fasto. Anche Carlo III scelse il Rococò di Luigi Vanvitelli per gli stessi motivi. E dalle periferie, inizia il suo viaggio di persuasione.
Neomelodica, comunque, non è solo la Disneyland dell’edilizia neobarocca, dal ristorante kitch alla villetta del professionista cafone o del capoclan convinto, ma qualsiasi altro palazzone contenga persone riunite in un “sistema” culturale subito.
Il paesaggio neomelodico, infatti, è la cartina al tornasole di quanto un territorio abbia aderito inconsapevole o meno, all’interpretazione del sociale costruita da quello che i suoi adepti non chiamano più Camorra ma O’ sistema.
Da Formia a Secondigliano, al casertano, dall’Agronocerino alla Valle Ufita, passando per le Costiere, in concentrazioni diverse è, comunque, sempre visibile il segno di questa nuova omologazione culturale, veicolata con una canzone, sponsorizzata dal riciclaggio di denaro sporco, costruita consumando inutilmente suolo vergine, giustificata da ipotesi di artisticità, esagerata nelle forme, nulla nei contenuti.
Proprio lo scollamento tra significato e significante è il marchio in grado di consentire al neomelodico di essere interpretato come “culturalmente rilevante dal proprio pubblico”.
Un pubblico anomalo, assolutamente senza continuità. Unito più nei fenomeni indotti che da quelli scatenanti. Lo capisci quando in una scuola elementare, nella “Giornata della legalità”, senti cantare “O’ latitante” o quando il medico di paese sogna un leone rampante davanti alla masseria di famiglia e il contadino un timpano neoclassico per il suo citofono.
Il paesaggio neomelodico si costruisce così, per adesione inconsapevole ad una sottocultura dominante. Se questo è un bene o un male, … è sempre la stessa storia.
(* curatore Scuola sul Paesaggio/Festival di Paesaggio))