
09 Gen Il paesaggio, il “ponte Tagliola” e la bellezza quotidiana
“Dobbiamo esser convinti che la qualità del paesaggio (…) rappresenta un valore cruciale che ha natura non solo culturale ma civile ed economica. Innerva la qualità della vita, la felicità degli individui e la ricchezza della vita comune” (“Paesaggio costituzione cemento”, S. Settis)
di Mario Pagliaro*
Anche Durazzano ha un Paesaggio. Non sono solo le sue colline, i suoi panorami, le sue case e le sue chiese. Innanzitutto, lo sono i suoi bambini, le sue donne, i suoi uomini, le sue macchine, i suoi trattori, i suoi bar, le sue birre, i funerali.
Può sembrare ancora strano ma la verità che il Paesaggio sia una porzione bella di territorio, inquadrata in una cartolina, magari antica, non è più accettabile. Con la Convenzione Europea del Paesaggio, si è finalmente sfatato un mito, mai stato vero. Oggi, il pensiero che si deve associare alla parola Paesaggio siamo noi, con i nostri luoghi di vita.
Così, se ci sembrano brutti, siamo costretti a crearci un problema e se ci appaiono belli, obbligati a raccontarli, ad averne attenzione. Non semplicemente amarli.
Quando semplicemente si ama la propria casa, si inizia a tollerarne tutti i difetti: gli spifferi, le porte strette, le scale scomode, l’orribile colore alle pareti, le crepe nel soffitto. Un giorno, poi, il velo cade e, tristemente, dobbiamo accettare di abitare una casa brutta. Oramai, troppo inguaiata per porvi rimedio.
Sono tre anni che Durazzano, cerca di spiegare come avere attenzione al Paesaggio. Senza compiacersi in auto-celebrazioni tra il romantico ed il folklore, rilanciando visioni di sistema, senza parlare sempre del particolare ma di un insieme, è nata, nel 2016, la “Durazzano Summer School”. Prima dedicata a giovani studenti universitari che il paesaggio sono chiamati a progettare, poi, nel 2017 a giovani amministratori che il paesaggio devono gestire e programmare. Nella terza edizione, nel 2018, trasformandosi ancora, ampliando gli obbiettivi in un nuovo contenitore di visioni è diventata il “Festival del Paesaggio” in cui sono stati coinvolti tanti soggetti: università, Unesco, ordini professionali, istituzioni, associazioni, amministratori, tutti diversi ma uniti da un “filo rosso” fatto di azioni culturali e scientifiche immaginate per raccontare il Paesaggio come luogo di vita e spingere, chi lo vive, ad averne attenzione.
Tutto è nato da un libro digitale, la storia ri-scritta di uno dei ponti minori dell’Acquedotto Carolino, uno dei molti monumenti italiani inclusi nella lista Unesco dei Patrimoni dell’Umanità ma ancora avvolti da tanta approssimazione, sia nella storiografia che nella conservazione. “Il “ponte Tagliola”, a Durazzano, monumento inconsapevole dell’Acquedotto Carolino, non si chiama così.
Luigi Vanvitelli, che lo creò, lo aveva battezzato “Ponte della Valle di Durazzano” e se fosse riuscito nel suo intento, si sarebbe chiamato “Ponte di Ferdinando IV”. Un ponte dedicato ad un Re, seppur “nasone” o “piccirillo” ma non ad una trappola. La storia, invece, quella fatta dai vincenti o almeno, da quelli che non perdono, gli ha disegnato tutto un altro destino.
La battaglia diplomatica tra Vanvitelli e Bernardo Tanucci, combattuta sul “ponte Tagliola”, lo ha lasciato, per oltre due secoli, sommerso tra rifiuti, erbe selvatiche e fichi, nemmeno buoni da mangiare.
Soprattutto, perso nelle memorie colte e istituzionali e approssimato negli affetti della comunità che lo possiede. Tutto questo per una lapide non apposta, una scritta non incisa, una dedica non fatta giungere.”
Questa favola vera è stata scritta, non solo per far ri-conoscere il ponte, i personaggi che lo conobbero, i tempi ed i luoghi in cui questi vissero. Soprattutto, l’obbiettivo era compensare l’assenza di affetto, di conoscenza e costruire un valore non riconosciuto.
Per anni, il “ponte Taglione”, è stato percorso da contadini, pastori, poi, trattori. E’ stato lo sfondo di tante fotografie scattate durante le gite “fuori porta” o di passeggiate d’istruzione per scolaresche gioiose. Oggi, che è ri-diventato il “Ponte della Valle di Durazzano”, riconosciuta opera di Luigi Vanvitelli, patrimonio Unesco dell’Umanità, invece, si scopre che proprio la generazione di quegli alunni ritratti nelle foto di sessanta anni fa ed i loro figli, lo hanno reso sfondo di nulla e, soprattutto, nemmeno protagonista della vita dei luoghi e di chi li vive. Da solo, nella sua imponenza silenziosa, vive in un limbo di curiosità e distrazione. Troppo grande per non essere notato ma troppo scontato per essere considerato, nonostante gli sforzi, anche la sua comunità, i suoi paesani, non lo hanno ancora eletto protagonista di una nuova voglia di ri-vedere i propri luoghi.
L’idea che “Paesaggio” siano le colline imbalsamante nei depliant turistici, i monumenti visti negli spot o il biancoenero di una fotografia anziana, vince sulla necessità di riconoscere “paesaggio” nei luoghi di tutti i giorni, in quelli che noi viviamo e da cui possibilmente vorremmo fuggire, perché non ci sembrano belli come quelli visti in tv.
In questo, il “Festival di Paesaggio” di quest’anno, è stata una nuova possibilità di creare alternativa alle abitudini, di insinuare il dubbio che tutti, nessuno escluso, debbano sentirsi “portatori sani” di paesaggio e non di retorica. Infatti, #FdP, non è stata una festa ma un progetto, una di quelle azioni dell’uomo che si costruisce su di una visione e non si conclude mai, continua nelle azioni di tutti i giorni.
Solo, così, anche se non dovesse esserci un nuovo Festival, l’obbiettivo potrà restare, sempre, la “bellezza quotidiana”.
(*) apertura del Calendario 2019 delle Parrocchie di Samta Maria e Sant’Erasmo – Durazzano
(**) curatore Festival di Paesaggio