Retorica della riqualificazione

Retorica della riqualificazione

di Mario Pagliaro

Il termine “qualità”, da solo, non indica un valore assoluto e soprattutto, positivo. Semplicemente, seguendo il suo etimo, serve ad indicare “quale una cosa è”, il suo “modo di essere”. Se buono o cattivo, è tutta un’altra cosa.
Con il termine “qualificare”, ancora, si affianca alla “qualità” il verbo facere, indicando, così, la costruzione di un “modo di essere”.

Ri-qualificare”, per questo, non è un concetto scontato, un’azione virtuosa a prescindere. Più semplicemente, indica solo l’azione di ricostruzione di un “modo di essere”. Se il risultato sarà buono o cattivo, è tutta un’altra cosa.

Per tutto questo, quando si concorda che un luogo non ha o ha perso, i caratteri di “qualità”, non si è detto molto. E il conseguente assunto per cui necessita un progetto di “riqualificazione”, nemmeno indica cosa si vuole fare e come. La “qualità”, non coincide con la semplice capacità o volontà di “fare qualcosa” ma è subordinata alla pre-visione di un valore, possibilmente condivisibile.

Anche per il paesaggio o in architettura, con “riqualificazione” non può intendersi una semplice operazione di edilizia o di trasformazione più o meno articolata. Per ricostruire il modo di essere di uno spazio, di un luogo, serve progettare, innanzitutto, quale valore attribuirgli.
Valorizzare“, creare o ricreare valori. Un’azione che non può essere puramente tecnicistica ma anche culturale, economica, sociale. Antropologica.
La sofferenza che avvolge i nostri centri storici, soprattutto quelli impropriamente definiti “minori”, è dovuta proprio alla diffusa perdita di valori. Sociali, immobiliari, produttivi, culturali.

Le ragioni storiche della formazione di una comunità sono da ricercarsi nel bisogno primordiale di riunirsi per meglio affrontare le necessità umane, sociali e produttive. Nel momento in cui le variabili della storia rallentano la convenienza alla convivenza iniziano, inconsciamente, a venir meno anche le ragioni dell’esistenza della comunità stessa, intesa come aggregato d’uomini, azioni e dei luoghi che li accolgono.
In questo processo s’identificano i motivi del lento degrado che avvolge i centri storici della nostra terra. La produttività che l’antica convivenza favoriva, è stata alla base della costruzione e trasformazione dei territori, fino a quando la difficoltà ad incontrare il mercato, la trasformazione delle tecnologie, dei processi produttivi, gli eventi della storia hanno diminuito la convenienza a convivere in quei luoghi, ad usarli, a trasformarli fino a portarli sull’orlo del baratro.

All’indomani del sisma del 1980, il dolore, la nostalgia, la possibilità di usare fondi pubblici, ha creato il “problema” di cosa fare dei nostri piccoli centri. Fortunatamente, quel “problema” è maturato in dibattito, accogliendo le analisi, le proposte delle varie componenti culturali e politiche coinvolte dalla questione.  Ma in ritardo e, come spesso capita, le azioni precedono le analisi e noi ci troviamo, ancora oggi, a dissertare di questioni importantissime, limitati dalla amara constatazione che “il già fatto” grava pesantemente sulle possibilità future. [1]

Per Pier Luigi Cervellati [2] i “centri storici minori” si possono ricondurre per lo meno a tre categorie,

  • gli insediamenti storici “incapsulati” nell’espansione edilizia e nell’agricoltura industrializzata;
  • gli insediamenti storici “abbandonati” per ragioni naturali, spesso catastrofiche o per la realizzazione di nuovi insediamenti
  • gli insediamenti storici “trasfigurati” dal recupero omologante del turismo.

“Si tratta di una distinzione, una delle tante possibili, ovviamente, utile almeno in prima battuta ad isolare alcuni dei problemi che caratterizzano i “centri storici minori” – deterioramento del patrimonio abitativo, degrado ed incuria del patrimonio storico-artistico, impoverimento del tessuto produttivo, isolamento e spopolamento – e a comprendere come la risoluzione degli stessi non possa che passare per un’adeguata valutazione e ponderazione della pluralità e dell’eterogeneità degli interessi pubblici, alcuni generali (governo del territorio, sviluppo economico) altri differenziati (interesse culturale, paesaggistico, ambientale, tutela del suolo), che gravitano sul territorio.” [3]

La “ri-qualificazione”,  quindi, non ha nulla di scontato in sé.
Non è una ricetta sempre buona o un rimedio taumaturgico anche per mali non diagnosticati e nemmeno può risolversi immaginando approcci estetici o quantitativi delle cose da fare.
Per intervenire sui luoghi, negli spazi, serve rendersi consapevoli , innanzitutto, della necessità di chiarire il “già fatto, il “perché fare“ ed il ”come fare”.

 


NOTE
[1]    M. PAGLIARO, Katundi – piano di ri-funzionalizzazione del centro storico di Greci, 2002
[2]    P.L. CERVELLATI, La sorte dei piccoli centri storici: abbandonati, trasfigurati, turisticizzati. Minori e maltrattati, in Bollettino Italia Nostra , 2009, n. 445.[3]    A. SAU, La rivitalizzazione dei borghi e dei centri storici minori come strumento per il rilancio delle aree interne” in Federalismi.it, 2018, n.3, anno XVI