17 Ago In Irpinia di paesaggio si soffre
di Maria Fioretti (*)
Mario Pagliaro racconta il primo Festival di Paesaggio dell’Irpinia. Architetto, da sempre attivo sulle questioni ambientali, è il curatore della Summer School che dal 7 al 9 settembre porterà a Sant’Andrea di Conza riflessioni collettive sulle aree interne come luoghi di vita.
Un festival di paesaggio che si struttura intorno ad una tre giorni aperta a chiunque abbia interesse rispetto ai temi affrontati. E’ realizzata in convenzione con l’Ordine degli Architetti di Avellino, con l’Unpli Provinciale e con l’Anci Campania che selezioneranno cinque figure a testa per un totale di quindici iscritti tra giovani amministratori, giovani architetti e giovani promotori culturali a cui si aggiungeranno altri partecipanti, ovviamente in condivisione con la comunità ospitante.
Nessun finanziamento pubblico. Il Festival di Paesaggio vive grazie alla bontà dei Comuni – che mettono a disposizione vitto e alloggio – e alla tenacia della Bottega delle Mani, laboratorio permanente che si muove tra design, architettura, territorio e artigianato. Al loro fianco quest’anno ci saranno le associazioni di Sant’Andrea di Conza che si sono dimostrate immediatamente disponibili, innescando una collaborazione bella e positiva anche con lo Sprar: «Insieme ai ragazzi richiedenti asilo e rifugiati – ci spiega Mario Pagliaro – saranno realizzati dei patchwork con stoffe riciclate cucite insieme per fare dei fazzoletti da regalare agli iscritti. Questo è paesaggio, entrare in una comunità e dialogare su ogni scelta e portarla avanti in maniera collettiva».
Siamo alla quarta edizione della Summer School, come nasce questo progetto?
«E’ cominciato a Durazzano, dove un ponte patrimonio dell’Unesco – progettato da Luigi Vanvitelli e monumento dell’Acquedotto Carolino – non era conosciuto dalle 2mila persone che abitano questo paese del Sannio. Si è posto dunque un problema di consapevolezza delle comunità rispetto ai propri territori e così abbiamo pensato di agire sul paesaggio nel suo complesso e non sul singolo elemento. Sono nate delle collaborazioni con Fondazioni e Università che nelle tre edizioni precedenti ci hanno portati ad indagare il paesaggio come luogo di vita e non in quanto momento di contemplazione, tutto questo sposando le affermazioni della Convenzione Europea che ha ridimensionato il concetto di paesaggio. Tutti immaginiamo che debba essere qualcosa di unico e irripetibile, molto lontano o irraggiungibile, invece oggi sappiamo che è in qualsiasi luogo della quotidianità: è paesaggio quello che noi percepiamo bello e allo stesso tempo quello che è brutto o mediocre. E’ stata fondamentale in questi anni la collaborazione con Ugo Morelli – saggista, piscologo e direttore scientifico della Summer School – per provare ad andare oltre l’organizzazione di una festa di paese e puntare su delle giornate che alla fine sono state in grado di costruire qualcosa».
Il programma è molto denso, in che modo avete pensato di articolarlo?
«Si comincia alle 9 di mattina e si prosegue fino a mezzanotte. Non si discuterà soltanto, l’approccio è multidisciplinare, anche la gastronomia è paesaggio e quindi durante le pause continueremo a parlarne. Le nostre aule saranno i vicoli del paese, dovunque ci sia una scala stenderemo dei fazzoletti e ci siederemo per ragionare di paesaggio con antropologi, architetti, esperti di cinema, fotografi e con le performance di teatro all’improvviso del Clan H che arrivano quando le parole cominciano a stancare e c’è bisogno di rappresentare quello che i luoghi possono raccontare in forme nuove e diverse. Saremo a Sant’Andrea di Conza ma non sarà questo piccolo comune il protagonista assoluto della Summer, lo scopo è quello di parlare nei nostri luoghi – le aree interne – ma non di noi stessi, come spesso succede. Piuttosto preferiamo guardare a quello che succede all’esterno per inserirci in un contesto ampio, non riferito esclusivamente ad una comunità».
Che cosa significa paesaggio?
«Il paesaggio è un atto politico, nel momento in cui compiamo una scelta che si riversa sull’insieme stiamo facendo paesaggio e comprendere questo è fondamentale. Se si diffonde l’idea che l’individuo è protagonista del paesaggio si responsabilizzano tutti, se è percepito come bello ognuno ha il dovere di tutelarlo, se al contrario il luogo in cui si vive è percepito come brutto, il problema raddoppia, perché spetta alle persone modificarlo. Non cambia quando arrivano le grandi opere – per intenderci – cambia con le decisioni minime di ognuno di noi».
Da Durazzano all’Irpinia, perché?
«Qui il paesaggio è profondamente ricco di contraddizioni, soprattutto per le scelte che ogni singolo irpino ha pensato fossero scelte individuali e che invece sommate hanno creato uno stravolgimento. Il nostro festival si snoderà tra i luoghi meno usati di Sant’Andrea, quelli che non si conoscono. Cerchiamo di rivedere i luoghi con occhi diversi. Dopo tre anni molto belli nel Sannio abbiamo lasciato una comunità consapevole, non conoscevano il Ponte di Vanvitelli e alla fine di questo percorso sono arrivati a creare una Proloco, a generare dibattiti interni in maniera costante. Continuare lì avrebbe significato organizzare una festa, ma il Festival di Paesaggio è un progetto che dura tutto l’anno, perché tolti i tre giorni della Summer School non abbandoniamo i luoghi, ma continuiamo a tenere i rapporti, a mettere in campo idee, a mescolare iniziative che proseguono. L’idea che abbiamo avuto io e Ugo Morelli è quella di dar vita ad un presidio fisso, speriamo possa nascere proprio a Sant’Andrea».
Interno/Interiore, romanticismo contro azione: come bisogna guardare al nostro paesaggio?
«Il grande problema è che si guarda al paesaggio solo con romanticismo, inteso come retorica, fermo al pensiero. Lo sforzo che vedo spesso compiere ai nostri paesi, soprattutto in queste occasioni festive, è quello di concentrarsi sempre su qualcosa che ci piace per poi portare fuori l’idea che il nostro paese sia straordinario. Non è vero, se noi alziamo lo sguardo e lo allarghiamo a tutta la realtà, vedremo che in Irpinia di paesaggio si soffre, perché sono le singole comunità che alimentano le contraddizioni. Abbiamo scelto di dedicare questa Summer School anche ai giovani amministratori proprio per spiegare loro che – ad esempio – progettare una rotonda è un atto di paesaggio. Compiamo delle scelte approssimative che creano dei presupposti irreversibili. Poi pensiamo di poter compensare facendo delle sagre su qualcosa che alimenta tanto il nostro sentimento. Da un lato vediamo paesi distrutti dal punto di vista della qualità architettonica, paesaggistica, della vivibilità, dall’altro l’esaltazione del prodotto tipico che però è un aspetto isolato. Quando finisce l’estate si è convinti di vivere bene nel posto in cui siamo, ma non è così e ce lo dicono i numeri su un turismo che non funziona, sull’artigianato che è morto, sulle persone che vanno via, la disoccupazione che continua ad esserci e i suicidi. Il nostro paesaggio è depresso anche se la mattina ci svegliamo e l’alba è stupenda».
(*) articolo pubblicato da orticalab.it