14 Set Echi dal margine
L’elaborazione del margine è un esercizio atto a mettere in forma la vita intera. Il termine giapponese Yohaku significa letteralmente margine, spazio vuoto (yo: resto; haku: bianco), qualcosa che ha raggiunto la riduzione all’essenziale. La stessa dimensione i greci la definivano àskesis, indicando un esercizio e un’esperienza attraverso cui la vita intera prende forma. Il margine, lo spazio agibile, luogo del vuoto e del possibile è perciò la struttura che collega, il luogo del gioco, del rischio del baratro e di ogni possibilità.
Nella creazione di una cultura del paesaggio e della sua valorizzazione, ma anche nella ricerca di forme di vita sostenibili, il margine è, oggi, uno dei principali luoghi da analizzare e a cui guardare.
Gestire l’evoluzione del conflitto vuol dire “darsi margine”. Il margine è il luogo del divenire, dell’inizio dell’altrove e in questo senso vale il gotico marka quando indica la frontiera. L’origine della parola ne segnala sia il genere maschile che femminile, la sua capacità di costituire un contenuto e di essere luogo germinale di contenimento, mentre può essere luogo di emarginazione. In queste sue potenzialità sta il più alto rischio ma risiedono anche le opportunità più elevate. Quando si cerca di realizzare un processo di cambiamento in una situazione che riguardi l’esperienza individuale, quella di un gruppo o di un’istituzione, ci si rende presto conto che proprio le cose lievi bisognerebbe perseguire: quelle in grado di facilitare l’evoluzione. Ci si rende anche conto che perseguirle non è però facile poiché per il fatto stesso di perseguirle esse tendono a strutturarsi e a divenire impegnative, costose e vincolanti. La nostra stessa ricerca di consistenza nell’azione, il nostro stesso desiderio di lasciare una traccia, concorrono a questo rischio e non sempre ci riesce di disporci ad attendere attivamente e in forme leggere la loro manifestazione imprevista, o raramente prevedibile. E’ al margine della caoticità che si genera l’incertezza (Holland, 1998) e la possibilità della vita nell’infinitamente piccolo, mentre le dinamiche dell’ “infinitamente grande”, come i sistemi sociali e i processi sociali in genere, tendono ad avere almeno in parte gli stessi andamenti. Il senso del margine sta, quindi, nel suo valore generativo; se il margine non è una linea né un confine, contiene, per la stessa ragione della generatività, il rischio della perdita. Tra conformità e difformità emerge lo spazio del “quasi-conforme”: quello spazio può portare all’esclusione o può generare una trasformazione emancipativa. Può generare aggressione ed emarginazione o capacità di riflessione e “corteggiamento”. Se il margine riesce a essere valorizzato come spazio e tempo di gioco può divenire il passo da fare per spostarsi dalle posizioni centrali di certezza e accedere alla plasticità delle zone temporanee ed evolutive, agli spazi del possibile dove dalla buona elaborazione dei conflitti può emergere il senso del futuro.
(direttore scientifico Scuola sul Paesaggio/Festival di Paesaggio)