Coinvolti come Scampia

Coinvolti come Scampia

L’infrastruttura necessaria su cui investire per aumentare e migliorare la vivibilità, tanto in quei brani di città che si insiste a chiamare “periferie”, quanto nei paesi che si preferisce considerare “interni”, è il “coinvolgimento”, di tutti verso tutto. Unico, vero intervento che può catalizzare positivamente un processo di costruzione virtuosa dei nostri paesaggi.

Questa, al netto delle esperienze costruite, dei contatti trovati e ritrovati, del piacere provato nel condividere conoscenze, è la sintesi di PERICENTRO, la 7^ Scuola sul Paesaggio/Festival di Paesaggio, tenutasi a Napoli, nel quartiere di Scampia, lo scorso 22 ottobre.
Una giornata di otto incontri multidisciplinari, con iscritti da sei regioni italiane, ancora auto-prodotta dalla bottega delle MANI e dalla Compagnia teatrale Clan H, questa volta insieme al GRIDAS ed alla rete di associazioni attive a Scampia. Curata da Mario Pagliaro, con la direzione scientifica di Ugo Morelli, quella artistica di Salvatore Mazza e con i preziosi spigoli fotografati da Antonio Bergamino.

Il “coinvolgimento”, non quello dei tavoli di concertazione istituzionali, nemmeno quello del leader che catechizza il proprio popolo o del “capopolo” che usa i suoi serbatoi è, invece, quell’investimento immateriale difficilmente quantizzabile con i prezzari regionali, ancor meno comunicabile tramite addetti stampa, che non può essere costruito ma solo coltivato dando cura ai particolari e non coltivando il particulare, inquadrando l’attenzione alle cose marginali in contesti macro. Anche quando questi sembrano contrari alle logiche del consenso e, soprattutto, del ritorno visibile o immediato.

Praticamente quello che si vive a Scampia.
Un luogo felicemente anomalo dove, chi immagina di trovare solo gomorre o plaudire ad università recintate, sforzandosi di guardare oltre, può accorgersi dei tanti cittadini, gruppi civici e associazioni, ognuno con la sua specifica utopia che, invece di andare a caccia di finanziamenti o aderenze politiche producono diritto alla gioia, sempre ed esclusivamente in rete tra loro e con chiunque sappia essere produttore di contenuti, condividendo esperienze, militanza, mezzi. Procedendo dal basso a realizzare le uniche fondamenta che chi ragiona “in alto” può usare per poggiare una speranza.

Scampia, per questo, è un bel Paesaggio. Non esistono sfondi tramontabili o panorami sui quali affacciarsi, c’è tanto verde ma quasi sempre incolto, l’architettura è quella di un qualsiasi altro contorno metropolitano, eppure esiste vita bella che si muove insieme, a prescindere dalle difficoltà, dalle cose che non funzionano pur esistendo, dalle cose che si sanno pur non avendo le prove.

Quest’anno, per una canzone de La Maschera, siamo arrivati a Scampia e ci siamo rimasti, con Mirella La Magna e Martina Pignataro, sperando nella benedizione di San Ghetto Martire e di tutti gli altri amici che costruiscono insieme le proprie diversità, sapendo anche rinunciare alla perfezione e malgrado il pubblico delle serie TV.

La provincia, questa volta, l’abbiamo potuta vedere da fuori, con i suoi allevamenti di protagonismo, di rincorse alla ribalta, le sue attività che se non sono stampate non esistono e se non si leggono su qualcosa di importante non lo sono, i sentieri lastricati di buone intenzioni ed i risultati annunciati negli studi di fattibilità.
Nei paesaggi di Scampia, non ci sono sfogliatelle o mandolini, quindi, nemmeno l’inerzia del campanile o l’abitudine alla nostalgia. Perché, così come i nostri nonni il caciocavallo impiccato non l’hanno mai mangiato e la pizza Margherita, come la conosciamo, l’hanno perfezionata gli americani, la nostalgia resta solo lo storytelling dell’approssimazione, sicuramente non della vita vera.

Sono sette anni che spieghiamo perché il nostro Festival non è “del” ma “di” Paesaggio. Nei paesi quando ti chiedono “a chi appartieni?”, devi rispondere “song’o figlio di…” altrimenti non ti capiscono. Allo stesso modo, il paesaggio di Scampia non è della Netflix, della RedBull o del Sindaco “però tanto colto” ma di Felice Pignataro e di chi, ostinatamente, ritiene possibile prescindere dall’apparenza e continua, quotidianamente, a produrre vivibilità. Quella cosa per cui resti coinvolto in un posto perché ti ci senti vivo e non perché vuoi resistere.

P.S.
Grazie a tutti i tanti che hanno regalato condivisione.