La filosofia di progetto è stata quella “non invasiva”, con interventi finalizzati alla più ampia reversibilità e materiali quanto più coerenti con quelli esistenti, non solo per analogie estetica ma, sopratutto, statica e funzionale.
L’obbiettivo, quindi, è stato il recupero e miglioramento dell’originale comportamento statico del manufatto rispettando assolutamente i meccanismi strutturali originali senza inserire rigidità anomale ma, esclusivamente, migliorando le azioni e coazioni e intervenendo in sostituzione degli elementi solo quando i livelli di degado lo rendevano indispensabile. Prioritaria, in questo senso, è stata la proposta di una versatilità funzionale che consentisse anche la “messa in produzione” sostenibile del bene culturale ma ne garantisse la compatibilità con l’insieme tecnico-funzionale.
Dal punto di vista linguistico, si è scelto di rendere palese ogni aggiunta contemporanea che le necessità tecniche e funzionali rendevano necessarie.
Riferimento culturale e operativo è stato sempre il metodo indicato dal prof. Antonino Giuffrè nei suoi codici di pratica per il restauro architettonico.
Tipologia “a loggia” è testimonianza di un stesso percorso storico, comune anche al “rione Fratta” che ha portato semplici fabbricati terranei, costituito da più ambienti unici, non più grandi di 30 metri quadrati, disposti in linea ad innalzarsi di un piano. Da qui la necessità di creare un “profferlo“, una scala parallela all’unico fronte libero, tangente la strada, dotata di loggetta montato su arcate (solitamente due) che permettesse di raggiungere il nuovo livello. Al fine di proteggere dagli agenti atmosferici il nuovo corridoio, la nuova copertura si prolungava fino al filo della ballatoio. L’aggetto veniva solitamente sostenuto da pilastrini in legno poggiati direttamente sulla balaustra.
Non è chiaro, quando questo sia avvenuto, certo è che il tutto può essere collocato in un lasso di tempo comune . Intorno alla metà del Settecento, sicuramente dopo il terremoto del 1732 che distrusse Grottaminarda e forse sull’onda della ricostruzione seguito dei lavori, una rinnovata e diffusa attività edile portò ad “arricchire” questa tipologia, sostituendo ai pilastrini in legno delle colonne in pietra di vario stile ed in alcuni casi a chiudere l’accesso alla loggetta con un portale lapideo, posto al termine della scala. Nuovi interventi, anche questa diffusi ma non contemporanea, poi ha portato alla chiusura delle loggette, degli intercolunni, spesso annegando nella muratura le colonnine, con l’obiettivo di ricavare nuova superficie utile.
Ricerche d’archivio
Anno 1531
Nella descrizione del feudo di Grottaminarda confiscato al marchese Ladislao d’Aquino “ribelle al re” Carlo V, si dice che “ fuori delle mura di cinta del paese, in pianura, sulla via delle Puglie sorgeva il “bel borghetto” chiamato pure “alla dogana”.
(“archivio storico per le Province napoletane” Rivista storica anno 1929 volume XV, pag. 79 – ricerca a cura del prof. Antonio Palomba)
Anno 1774
L’edificio, viene sopraelevata con autorizzazione del duca Coscia, signore del paese e padrone della Dogana, da Dionisio Mannetta di Ariano, probabilmente affittuario della stessa, che scrive in latino sull’architrave del portale che immette nel loggiato e dentro le stanze sopraelevate: “O passeggero questa casa che tu vedi sappi che l’ho costruita io, proprio io, Dionisio Mannetta nell’anno del Signore 1774″.
Così questa Dogana aragonese, divenuta nella seconda metà del ‘ 500 Stazione di Posta del Regno di Napoli, diventa nel 1774 anche osteria, detta “Osteria del Procaccia”, cioè del Postiglione, che qui si fermava per il cambio dei cavalli e per la consegna delle “Valigie della posta.” (ricerca a cura del prof. Antonio Palomba)
Anno 1836
Perizia tecnica dell’arch. Raffaele Abate, relativo ala “Taverna detta del Procaccio, con sottani affianco ed appartamento superiore”, da cui si ricavano forti dubbi che la Taverna del Procaccia possa coincidere con il fabbricato in questione. Infatti tra l’altro l’ubicazione riportata dall’Abate: “Resta la medesima nell’abitato di Grottaminarda, e confina a mezzogiorno colla Consolare di Puglia, ad occidente colla via pubblica detta di Caponisi, ed a settentrione ed oriente coll’altra via pubblica denominata dell’Olmo.” non coincide con il fabbricato attuale che, invece, confina con la ex Consolare delle Puglie (ora C.so Vittorio Veneto) a Nord. (ricerca a cura del prof. Francesco Barra)
Anno 1957
Comune di Grottaminarda – delibera di giunta dell’anno 1957. Il sindaco Achille Vitale minaccia di abbattere la fabbrica, se i proprietari dello stabile che sono Giovanni e Stefano Minichiello, eredi di Marco Minichiello , e la stessa Soprintendenza di Napoli non provvedano immediatamente a proprie spese proprie a riparare l’angolo del loggiato che sporge sulla via Nazionale delle Puglie e che minaccia di rovinare rappresentando così un pericolo pubblico per la incolumità dei cittadinie dei veicoli di passaggio. (ricerca a cura dello scrivente)
Anno 1962 (14 novembre)
Comunicazione dei cugini Minichiello Giovanni, Stefano, Aurelio e Maria Annunziata, proprietari dell’immobile alla “Sovrintendenza dei Monumenti” e per conoscenza al Sindaco di Grottaminarda, con la quale comunicando che l’immobile “è stato dichiarato da demolire” dai tecnici dell’Ufficio del Genio Civile per i danni riportati a seguito del terremoto del 21 agosto 1962, si richiede alla Sovrintendenza di intervenire per prelevare le colonnine del loggiato , in quanto “classificate opere d’arte, ed autorizzare la demolizione dell’edificio. (ricerca a cura dello scrivente).
2005
Restauro, design e grafica: arch. Mario Pagliaro
Egidio Iovanna - scultore
Maggio 10, 2008